Il contenitore di legno era quasi sconosciuto nelle civiltà greca, etrusca e romana, dove erano invece diffusi i recipienti in creta, funzionali, facili da realizzare ed economici.
Nel medioevo l’uso della botte si diffuse e rimase l’unico contenitore fino alla fine del XIX secolo, quando iniziarono a trovare impiego i recipienti in muratura e poi quelli in cemento armato.
Verso il 1970 in Francia era diffusissima la piccola botte (barrique) pressoché assente da noi dove, anche la botte grande, era ormai rara. Negli ultimi 35 anni, prima gradualmente e poi con maggiore intensità, anche nel nostro Paese si assiste al ritorno importante della barrique e poi delle botti medie (10-50 hl) e del tino di legno.
Solo sul rapporto Botte-vino sono stati scritti interi volumi e, sicuramente, c’è ancora tanto da scoprire. Limitandoci alle evidenze macroscopiche si rileva subito che un vino rimasto in botte per qualche mese è più stabile e più longevo. Il merito è del legno che favorisce la precipitazione dei tartrati e cede piccole quantità di tannini che facilitano l’illimpidimento e migliorano la stabilità.
Le sostanze cedute dal legno (sono oltre cento quelle conosciute), in particolare tannini ellagici, acidi fenolici, sostanze aromatiche, si amalgamano lentamente con il vino e si trasformano grazie alla porosità della botte. Lentamente, si assiste ad una evoluzione del contenuto che, se adatto al contatto con legno, può migliorare le sue caratteristiche. Possono giovarsi di questi scambi sia i vini bianchi che rossi, generalmente strutturati e ottenuti con uve ben mature.